Lo clásico en el arte

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L’arte del classico (frammento). 
di Giacinto Di Pietrantonio.

Dai molteplici significati, classico è un termine passepartout e per questo, nel corso del tempo, adottato in varie modalità per persone e cose. In modo più esteso, qui, ci interessa la relazione tra antichità, modernità e contemporaneità che l’antico si porta dietro,soprattutto in riferimento alla cultura e maggiormente all’arte. Nascite e rinascite dell’antico accompagnano l’arte come una qualità che continua ad agire nel tempo, ma che, nonostante questa sua indubbia transitorietà temporale, finisce per essere normativa, ponendosi addirittura fuori dal tempo; difatti quando qualcuno, o qualcosa, riesce a essere classico si pone in un tempo senza tempo. Come dice il poeta tedesco Novalis:

      L’antichità non ci è data in consegna di per sé 
      – non è lì a portata di mano; al contrario, tocca
      proprio a noi saperla evocare.

Per cui la rinascita non è mai un fatto neutro ma un’azione creativa prodotta dalla memoria che ne garantisce il suo continuo rinnovamento. Per questo ci preoccupiamo di tessere rapporti con l’antico e, nel nostro caso, lo facciamo mettendo in relazione opere d’arte contemporanea con opere classiche. Si tratta di una connessione che fa sì che l’antico venga copiato e ricopiato, tra ripetizione e innovazione, in un arco di tempo che va dalla Grecia fino ai nostri giorni. Naturalmente, si tratta di una sintesi che cerca di chiarire come l’idea dell’antichità, tra verità e finzione, fra mito e realtà, ha finito per formare la nostra vita. Quindi è l’arte che, con i suoi contenuti e le sue forme, entra nel nostro essere e ci guida in questa ricognizione, in cui ci soffermiamo a guardare soprattutto aspetti ed effetti dell’antichità ereditati dalla tradizione moderna e neo-moderna. L’esposizione mostra, infatti, quell’interesse che testimonia la persistenza dell’antico non concentrata solo sull’attualità, seppur non ne manchino alcuni esempi. Abbiamo attivato questa ricerca partendo da Bergamo grazie al fatto di poter disporre delle opere dell’Accademia Carrara e, quindi, di poter mettere a confronto diretto opere antiche e contemporanee, come già proposto nel corso degli anni con Dinamiche della vita dell’Arte (2001) ed Esposizione Universale (2007). Ma nell’estensione a Buenos Aires per la Fondazione Proa ci siamo avvalsi anche di copie di opere classiche che vanno dall’antica Grecia al Rinascimento italiano del Museo del Calco della capitale argentina. Se nei due casi prima citati, Dinamiche della vita dell’Arte ed Esposizione Universale, il confronto era ad ampio raggio, mentre oggi abbiamo preferito focalizzarci maggiormente sull’idea del classico;in questo senso sono state scelte opere antiche, moderne e contemporanee, per poter costruire, in ogni sala, relazioni serrate per analogia e per differenza. Abbiamo cercato di mettere in risalto ciò che lo storico d’arte Aby Warburg nel suo MnemosyneAtlante delle immagini, ha chiamato “engrammi”; vale a dire, la sopravvivenza stratificata di significati consci e inconsci, vicini e lontani, volti a formare la geologia dei saperi del tempo dell’opera. Sono relazioni non cronologiche che ben si addicono all’idea stessa di antico, poiché, essendo senza tempo, esso richiede un confronto elastico che contenga tutti i tempi, andando oltre il tempo lineare. Abbiamo fatto questo con una cinquantina di opere di più di trenta artisti di epoche diverse, noti, meno noti e ignoti, in modo da offrire una visione immediata della tesi della persistenza dell’antichità. Si tratta anche di una mostra che riflette sull’antico, chiedendosi in che modo un artista contemporaneo possa prendere ispirazione da esso e come possa, poi, raccontarci questo confronto attraverso le sue opere. È naturale che un tale progetto si serva della memoria come veicolo di conservazione e trasmissione e, per questo, che sia associato anche all’idea d’insegnamento e, quindi, di testimonianza, che l’esercizio della memoria contiene in sé. Data la sua importanza, già nell’antichità, la memoria era vista come una dea chiamataMnemosine, una titanide figlia di Urano (Cielo), e Gea (Terra) che, secondo il poeta greco Esiodo, dopo essersi accoppiata con Zeus, generò le Muse e, quindi, anche l’arte. Personificazione della memoria, Mnemosine è per noi musa della memoria dell’arte: dell’arte antica, arrivata fino a oggi.Mnemosine è la memoria che non si è ancora arrestata, perché ispira l’estro che produce arte figlia della storia, una storia senza fine in questo caso, perché bagaglio culturale di cui continuiamo a giovare. Non c’è dubbio, quindi, che il miglior attore per operare il recupero degli insegnamenti del passato artistico, come ispirazione per il presente, è proprio l’artista contemporaneo. Ciò avviene, in quanto, il passato e il futuro vivono nel presente e nella loro azione d’aggiornamento svolgono anche una funzione pedagogica e didattica. Si tratta di un aspetto di grande interesse per il museo, soprattutto per un museo contemporaneo che cerca le radici e il rinnovamento anche nel e col passato. La prospettiva che parte dall’arte del passato per vivere nel presente è proprio quella che alcuni artisti, di un passato più vicino alla contemporaneità, hanno percorso e percorrono nel senso di un moderno confronto e aggiornamento.

Source:
"Lo clásico en el arte", catálogo. Proa, Buenos Aires, 2014

Michelangelo Pistoletto, L´Etrusco, 1976

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L’arte classica specchio del passato del presente del futuro (frammento)
di María Cristina Rodeschini

La sconfinata ammirazione suscitata da alcune opere d’arte antica si deve in primo luogo alla loro bellezza e insieme al fatto che l’uomo, riconoscendone l’alto valore culturale, le ha conservate per secoli, sollecitando l’immaginario di epoche successive ad intraprendere nuovi percorsi di ricerca. Quest’idea sta alla base del più famoso e certamente tra i più grandi fenomeni culturali del mondo, il Rinascimento. La memoria dell’antico ha innescato vere e proprie rivoluzioni del pensiero che alcune presenze in mostra individuano, tracciando itinerari particolarmente suggestivi. Tema per eccellenza di diverse dinamiche culturali è la rappresentazione del corpo umano, che assume per modelli celebri esempi della statuaria classica. Si deve ricordare che uno dei secoli maggiormente ammaliati dalla memoria del classico, per le imponenti campagne di scavo condotte a Roma da papi, principi e antiquari, sarà il Settecento. A seguito degli straordinari ritrovamenti, intellettuali, conoscitori e artisti svilupperanno una colta teorizzazione di profilo europeo intorno al potenziale culturale dell’antico, aprendo un dibattito dall’orizzonte pienamente moderno. 

La classicità è stata nei secoli argomento per così dire sempre attuale, sia nel caso in cui sia stata contraddetta, sia nelle circostanze in cui abbia rappresentato un punto di riferimento imprescindibile (nota 1). Brillanti studiosi si sono addentrati in queste problematiche, dimostrando quanto il favore verso la classicità sia stato determinato dalla storia del gusto e che sia possibile tracciare precisi itinerari da questo punto di osservazione. Francis Haskell e Nicolas Penny (nota 2), in un testo centrale per ampiezza d’analisi, individuano alcune ragioni principali della fama toccata a un reperto classico, ragioni spesso non indipendenti l’una dall’altra: del successo possono essere così responsabili ‘l’apprezzamento da parte di un artista o di un conoscitore influente, l’estro di un restauratore fantasioso, il peso del potere politico, la casualità di una scoperta inaspettata, una direzione nuova degli studi’.

Source:
1. S. Settis, Futuro del classico, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2004. / 2. F. Haskell e N. Penny, Lantico nella storia del gusto. La seduzione della scultura classica 1500 - 1900, ed. cons.Einaudi Editore, Torino 1984 ( prime edizione New Haven and London 1981).

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“Ante el tiempo. Historia del arte y anacronismo de las imágenes” (2008) *
Georges Didi- Huberman 

En “Ante el tiempo”, Georges Didi-Huberman (Francia, 1953), historiador del arte y ensayista francés, plantea dos preguntas clave: “¿qué relación de la historia con el tiempo nos impone la imagen?” y “¿qué consecuencia tiene esto para la práctica de la historia del arte?”. A través de la noción de anacronismo, Didi-Huberman propone un nuevo modelo de temporalidad y coloca a la imagen en el centro de todo pensamiento sobre el tiempo. Ante el fresco de Fra Angélico LaVirgen de las sombras, realizado hacia 1440-1450 en el Convento de San Marcos (Florencia), Didi-Huberman afirma:

“[...] Estamos ante el muro como frente a un objeto de tiempo complejo, de tiempo impuro: un extraordinario montaje de tiempos heterogéneos que forman anacronismos. En la dinámica y en la complejidad de este montaje, las nociones históricas tan fundamentales como la de “estilo” o la de “época” alcanzan de pronto una peligrosa plasticidad (peligrosa solamente para quien quisiera que todas las cosas permanecieran en su lugar para siempre en la misma época: figura bastante común además que llamaré historiador fóbico del tiempo). Plantear la cuestión del anacronismo es interrogar esta plasticidad fundamental y con ella la mezcla tan difícil de analizar, de losdiferenciales de tiempo que operan en cada imagen. [...]” 

Source:
*Georges Didi-Huberman, La historia del arte como disciplina anacrónica, en "Ante el tiempo. Historia del arte y anacronismo de las imágenes", Adriana Hidalgo Ed., Buenos Aires, 2000.

La ambivalencia de la tradición clásica. La psicología cultural de AbyWarburg (1866-1929) en "Tributos" (1991)
E.H. Gombrich.

El 13 de junio de 1966, centenario del nacimiento del historiador del arte AbyWarburg (1866-1929), Gombrich es invitado a pronunciar una alocución en la Universidad de Hamburgo en su honor. Allí, Gombrich rinde homenaje a uno de los pensadores más destacados en el campo de la estética y la historia del arte,reconocido por sus estudios acerca de la supervivencia del paganismo en el Renacimiento italiano. En el recorrido biográfico que realiza, Gombrich describe los conceptos centrales que atraviesan la obra de su maestro:

“[...] Warburg concibió su obra como atlas gráfico que ilustraba las acuñaciones del mundo antiguo y sus efectos positivos y negativos en ciertos períodos de la cultura, con la historia de la astrología y la astronomía como especie de contrapunto. (...) El atlas se había vuelto una red de símbolos, una especie de sinfonía de imágenes, en parte interpretación de la historia, en parte meditación autobiográfica. Así pueden volverse inteligibles dos de los títulos que Warburg anotó para este proyecto: “Mnemosina; el despertar de los dioses paganos en la época del Renacimiento europeo como transformación de la energía en valores expresivos” y “La creación del espacio para reflexión como función de la cultura. Ensayo sobre psicología de la orientación humana basado en la historia universal de las imágenes”. [...]" 

 

Source:
*E. H. Gombrich La ambivalencia de la tradición clásica. La psicología cultural de Aby Warburg (1866-1929) en Tributos , Alianza Editorial, Madrid, 1991.

“Historia, Arte, Cultura: de AbyWarburg a Carlo Ginzburg” (2003).*
José E. Burucúa.

En “Historia, Arte, Cultura: de AbyWarburg a Carlo Ginzburg”, José E. Burucúa, repasa los pensamientos centrales de Warburg y la descendencia de estas ideas en notables filósofos y pensadores, como el caso de Ernst Gombrich, Erwin Panofsky o Walter Benjamin. Burucúa, quien frecuentó el Instituto del historiador en la Universidad de Londres, es el último eslabón de una larga tradición warburguiana en la Argentina. En "AbyWarburg (1866–1929). La civilización del Renacimiento, la magia, el método”, afirma:

“[...] Digamos que la pasión (mucho más que el interés) actual por los trabajos de AbyWarburg se aplica a tres núcleos de su obra: primo, una idea peculiar del Renacimiento como tiempo de inauguración de la modernidad; secundo, un acercamiento a la etnología con el propósito de comprender el sentido de las prácticas mágicas en las sociedades arcaicas del presente, et tertio, un método de investigación y descubrimiento para la historia de la cultura.” (...)  El método warburguiano aspiraba a reconstruir las cadenas de transporte de formas en la larga duración y entre los espacios dilatados de varias civilizaciones; su tarea apuntaba a acumular imágenes realizadas sobre todos los soportes concebibles y destinadas a todas las funciones imaginables, hasta cumplir el propósito de construir un espectro continuo, irisado y exhaustivo de representaciones en el cual se reprodujese la trama secular de la memoria de Occidente. [...]” 

Source:
*José E. Burucúa Aby Warburg (18661929). La civilización del Renacimiento, la magia, el método en Historia, Arte, Cultura: de Aby Warburg a Carlo Ginzburg , Fondo de Cultura Económica, Buenos Aires, 2003

Anónimo, atribuido al taller de Giambettino Cignaroli, Venere durmiente (Venuns durmiente), 1750-1770.

Antonio Balestra, David con la testa de Golia (David con la cabeza de Goliat), 1715-1720

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Los calcos del Museo Nacional de Bellas Artes. Nostalgias de un lejano resplandor en "Memorias de la Escultura, Los inicios de la colección de Esculturas del Museo Nacional de Bellas Artes (1895-1914). Catálogo de Exhibición (2013). Por Paola Malgarejo. 
Por Paola Malgarejo. 

En el marco de la exhibición “Memoria de la Escultura” realizada en el Museo Nacional de Bellas Artes en 2013, Paola Melgarejo (UBA/MNBA) es invitada a estudiar la historia de los calcos, su llegada a Buenos Aires a principios del siglo XX y su tránsito por las instituciones, sin dejar de lado su aspecto técnico y su contenido conceptual vinculado al problema de la copia, la Academia, la apropiación de lo clásico, entre otros temas. Dicha investigación se publica en el catálogo de la exhibición:

“[...] A lo largo del siglo XIX y principios del XX, el interés por la cultura clásica se extendió a todos los ámbitos del campo artístico europeo a través de sus instituciones oficiales: las academias, los museos y los salones nacionales. Esta situación puede explicar el interés creciente por la técnica del calco que se produjo en ese período, ya que adquirir réplicas griegas y romanas, o del Renacimiento, fue un modo de acercarse al gran gusto y la posibilidad de incorporar los ideales de la antigüedad. Se trataba de copias escultóricas realizadas a partir de moldes flexibles (esto, desde el siglo XIX) que podían tomarse en primera colada, es decir, directamente de los originales, y que servían luego para la reproducción en serie; se rellenaban una y otra vez, en general con yeso, un material de bajo costo que permitía la réplica de obras antiguas con gran precisión. El resultado era una pieza de características similares al original, tanto en tamaño como en aspecto, ya que a partir de pátinas se imitaba la calidad del mármol o del bronce de las obras auténticas. [...]”


Pabellón Argentino. Vista de la planta baja con los primeros calcos adquiridos en Europa por Eduardo Schiaffino en 1906. 

 

Source:
*Paola Melgarejo Los calcos del Museo Nacional de Bellas Artes. Nostalgias de un lejano resplandor en Memoria de la Escultura, Los inicios de la colección de Esculturas del Museo Nacional de Bellas Artes (1895 1914), Catálogo de Exhibición , 2013.

El Tiempo, gran escultor (1983).
Por Marguerite Yourcenar.

Marguerite Yourcenar escribe el ensayo “El Tiempo, gran escultor”, entre 1954 y 1982, pasa revista a algunos de los temas que le son más queridos y que su lector habitual reconocerá como suyos de modo inmediato: el cristianismo, la belleza, el paso del tiempo. “La imagen del pájaro venido no se sabe de dónde, y que parte en no se sabe qué dirección, sigue siendo un buen símbolo del inexplicable y corto paso del hombre sobre la tierra. No hay ni pasado ni futuro, tan sólo una serie de presentes sucesivos, un camino perpetuamente destruido y continuado por el que avanzamos todos”.

“[...] El día en que una estatua está terminada, su vida, en cierto sentido, empieza. Se ha salvado la primera etapa que, mediante los cuidados del escultor, le ha llevado desde el bloque hasta la forma humana; una segunda etapa, en el transcurso de los siglos, a través de alternativas de adoración, de admiración, de amor, de desprecio o de indiferencia, por grados sucesivos de erosión y desgaste, la irá devolviendo poco a poco al estado de mineral informe al que la había sustraído su escultor. [...]”

*Marguerite Yourcenar El Tiempo, gran escultor, Alfaguara, Buenos Aires, 1990.