Room 2
Anónimo, atribuido al taller de Leonardo Da Vinci
Personaggiomaschile di profilo a sinistra con berretto, primer cuarto del siglo XVI (Personaje masculino de perfil izquierdo con sombrero)
Personaggiomaschile di profilo a destra con berretto e collana, primer cuarto del siglo XVI (Personaje masculino de perfil derecho con sombrero y collar)
Personaggiomaschile di profilo a sinistra con berretto, primer cuarto del siglo XVI (Personaje masculino de perfil izquierdo con sombrero)
Personaggiomaschile di profilo a sinistra con capellopiumato, primer cuarto del siglo XVI (Personaje masculino de perfil izquierdo con sombrero emplumado)
Personaggiomaschile in giovaneetà di profilo a sinistra con berretto, primer cuarto del siglo XVI (Personaje masculino joven de perfil izquierdo con sombrero)
Personaggiofeminile di profilo a sinistra con acconciatura a rete, primer cuarto del siglo XVI (Personaje femenino de perfil izquierdo con peinado a red)
Lápiz, lápiz graso, gouache negro sobre papel preparado y pegado sobre lienzo, montado en bastidor. 53 x 38 cm. c/u.
C.A.C.
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L’importante serie di ritratti, ricondotti da Gustavo Frizzoni (1907) alla cerchia degli artisti milanesi tra Quattrocento e Cinquecento e rubricati da Corrado Ricci (1912) come ‘scuola leonardesca’, costituiscono un appassionante problema critico, non essendo ancora stati riconosciuti nè l’autore, né gli effigiati ed essendo ancora aperta la discussione sulla datazione. Alcuni studiosi assegnano i disegni alla fine del Quattrocento, mentre altri li collocano nella seconda decade del Cinquecento. Non aiuta il loro stato di conservazione che vede l’ingrandimento di quattro esemplari (i numeri DIS 1993, 1994, 1995, 1997) per uniformarli agli altri due della serie e l’aggiunta in epoca successiva della sfondo a d acquarello nero. Merita un approfondimento l’abbigliamento dei personaggi e il loro acconciarsi che consentono di fare qualche interessante precisazione: l’abbigliamento e le acconciature dei personaggi raffigurati ai numeri DIS 1993, 1995, 1998 sono in uso nell’arco temporale 1480-1530; le tipologie suntuarie dei DIS 1994 e 1997 sono in uso tra il 1499 e il 1520. Un caso a parte è rappresentato dal numero DIS 1996che vede avanzare il periodo al 1500-1530. (Desidero ringraziare Chiara Buss per le preziose precisazioni sull’abbigliamento e le acconciature e Lucia tarantola per l’analisi delle tecniche). M.C.R.
Bernardino Licinio
Ritratto di gentildona, c.a. 1525-1530 (Retrato de dama)
Óleo sobre tela. 65 x 64 cm.
C.A.C.
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Già attribuito a Giorgione, il dipinto è stato restituito alla fine dell’Ottocento da Giovan Battista Cavalcaselle a Bernardino Licinio, entrando stabilmente nel catalogo dell’artista. Appartenente a una famiglia di origine bergamasca, Licinio si formò a Venezia agli inizi del Cinquecento e fu autore di diverse pale d’altare e sacre conversazioni, ma è noto soprattutto come ritrattista.
Nella tela della Carrara la gentildonna indossa un bustino rosso dalle maniche rigonfie e dallo scollo generoso, mentre un’ampia “capigliara” le trattiene i capelli; sull’avambraccio è avvolta una stola di pelliccia di donnola, uno degli attributi più ricercati della moda femminile del terzo decennio del Cinquecento in Veneto. Proprio i dettagli del costume forniscono indicazioni preziose per la datazione del dipinto, che si confronta facilmente con le opere eseguite da Licinio durante gli anni Venti, come i ritratti della Ca’ d’Oro di Venezia e di Hampton Court, datati 1524, o quello del museo Pushkin di Mosca, eseguito nel 1528. (Paolo Plebani)
Giovani Battista Moroni
Ritratto di Vidoni Cedrelli, 1576 (Retrato de Vidoni Cedrelli)
Óleo sobre tela. 54 x 46 cm.
C.A.C.
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L’iscrizione in lettere capitali che corre lungo il parapetto riporta il nome del personaggio raffigurato nel dipinto e la data di esecuzione di quest’ultimo, il 1576. Paolo Vidoni Cedrelli era mercante di lana ad Albino, dove risiedeva con la sua famiglia. Siamo di fronte quindi all’effigie di un concittadino e conoscente di Moroni, un rappresentante di quel ceto dei commerci e delle professioni che fu il soggetto di molta ritrattistica dell’artista bergamasco. All’impostazione a figura intera, fedele alle formule dello “state portrait”, solitamente adottato dal pittore per personaggi appartenenti all’aristocrazia, Moroni preferisce nella tela della Carrara un semplice impaginato a mezzo a busto. Il dipinto è un punto fermo per la ricostruzione della stagione finale dell’artista e documenta in maniera esemplare quell’esecuzione ammorbidita nelle stesure e quella sobrietà cromatica che, senza rinunciare a una stringente definizione naturalistica e psicologica, caratterizzano l’ultima produzione del pittore di Albino. (Paolo Plebani)
Aureliano Milani
Predica di san Giovanni Battista, ca. 1711-1715 (Prédica de San Juan Bautista)
Óleo sobre tela. 78 x 62 cm.
C.A.C.
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Appresi i primi rudimenti della pittura dallo zio Giulio Cesare e perfezionatosi nella bottega di Lorenzo Pasinelli e in quella di Cesare Gennari, Milani fu tra i promotori più convinti di un ritorno ai Carracci nella Bologna a cavallo tra Sei e Settecento e quindi a Roma, dove fu lungamente attivo a partire dal 1719. Anche il dipinto dell’Accademia Carrara partecipa di questo clima culturale, essendo una libera interpretazione di un capo d’opera di Ludovico Carracci, la Predica di san Giovanni Battista eseguita nel 1592 per la chiesa di San Gerolamo alla Certosa di Bologna e ora alla Pinacoteca Nazionale della città felsinea. Pur riprendendo alcuni elementi del celebre modello carraccesco, Milani adotta una costruzione meno serrata e compressa della scena: una soluzione da lui studiata in un disegno firmato e datato 1711 della Fondazione Giorgio Cini a Venezia. Il foglio presenta diverse varianti rispetto alla tela bergamasca, ma costituisce un riferimento ineludibile per la datazione di quest’ultima negli anni bolognesi dell’artista, poco prima della sua partenza per Roma. (Paolo Plebani)
Antonio Balestra
David in riposo con la testa di Golia, 1715-1720 (David en reposo con la cabeza de Goliat)
Óleo sobre tela. 127 x 167 cm.
C.A.C.
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Il dipinto era anticamente attribuito a Luca Giordano, ma il riferimento al pittore partenopeo è stato abbandonato è la tela ha trovato un posto stabile nel catalogo di Antonio Balestra. Dopo aver frequentato la bottega di Antonio Bellucci a Venezia e approfondito la tradizione classicista seicentesca a Roma presso Carlo Maratta, Balestra intorno al 1795 ritornò in Veneto, dove rimase fino alla morte, lavorando soprattutto tra Verona, Venezia e la Lombardia orientale. L’artista si cimentò in più di un’occasione con il tema del David e Golia: un dipinto perduto si trovava in casa Facchinetti a Venezia, ma l’opera che dialoga maggiormente con la tela della Carrara è un disegno autografo della Biblioteca Palatina di Parma. Per gli echi da Louis Dorigny, pittore francese lungamente attivo a Verona da cui Balestra riprende la posa del David, e per le morbide stesure degli incarnati il dipinto bergamasco si colloca nella piena maturità dell’artista, verso la fine del secondo decennio. (Paolo Plebani)
Vittore Ghislandi llamado Fra' Galgario
Ritratto di un ecclesiastico, 1725-1730 (Retrato de un eclesiástico)
Óleo sobre tela. 57 x 42 cm.
C.A.C.
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L’anziano ecclesiastico raffigurato dal Ghislandi con la consueta efficacia naturalistica e psicologica, senza nessuna enfasi, indossa una stola rossa e lo zucchetto, due dettagli d’abbigliamento che suggeriscono di identificarlo con un alto prelato. Le raccolte del Credito Bergamasco conservano inoltre una copia antica della tela, eseguita probabilmente da qualche allievo di fra Galgario. Due circostanze piuttosto insolite nella produzione del pittore bergamasco, che raramente replicava le sue opere e che cercava i suoi modelli soprattutto nel clero minore. Sulla scorta di una notizia tramandata dal primo biografo dell’artista, Francesco Maria Tassi, si è proposto quindi di riconoscere nell’ecclesiastico raffigurato nel dipinto Pietro Priuli, vescovo di Bergamo dal 1708 al 1728. L’ipotesi aprirebbe un primo spiraglio sulla ritrattistica ‘ufficiale’ di fra Galgario: un ambito della sua produzione su cui non mancano informazioni, ma che risulta ancora scarsamente documentato da opere. (Paolo Plebani)
Calco de la cabeza de David de Miguel Ángel Buonaroti
Vaciado en yeso. 120 x 83 x 78 cm.
IUNA - M.C.E
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Cabeza de David, adolescente que venció a Goliat con un tiro de piedra, certero a la cabeza. La escultura original del David de Miguel Ángel fue creada para el frente de la Catedral de Santa María del Fiore. Pero, ante el clamor popular, se instaló en la Plaza de la Señoría, frente al Palacio Viejo de Florencia. Hoy se encuentra en la Academia de la misma ciudad. Se considera que es un magistral estudio del desnudo masculino y una herencia vital del clasicismo antiguo y renovado. Una vez en Buenos Aires, este calco se integró al patrimonio de la Escuela Nacional de Educación Técnica Industrial Nro. 6 “Manuel Belgrano” que lo donó por Expte. Nro. 06749/964 informe 25 a la Dirección General de Enseñanza Artística. Esta a su vez lo donó a la Escuela Superior de Bellas Artes, donde estuvo desarmado en un depósito hasta 1983, en que fue restaurado y emplazado en el lugar actual. Antes de arribar a la Cárcova, se exhibió en el Teatro Municipal General San Martín entre el 2 y el 16 de noviembre de 1964.
Alfredo Pirri
Facce di gomma, 1992 (Rostros de goma)
Látex, caucho, algodón, tempera. Instalación medidas variables.
Col. Galleria Tucci Russo
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Il volto dell’artista è la matrice per la produzione di maschere; così, l’autore entra nella struttura dell’arte diventando traghettatore della tradizione verso il futuro. Come maschera, essa è portatrice di una doppia identità: una di vita e una di morte. La maschera diventa supporto limite della pittura; il colore dà vita alla superficie sottoforma di lacrime che sgorgando dagli occhi trasformano la materia morta in vivente. L’opera istituisce un nesso tra qualcosa che si sta formando e qualcosa che è destinato a deperire. La discrepanza tra l’individualità unica del volto e la ripetizione seriale delle maschere, tutte leggermente diverse pur nascendo dalla stessa persona, rafforza il carattere di rappresentazione della materia come residuo, offrendo così una testimonianza che, al tempo stesso, è annullamento dell’individualità propria del volto e della presenza piena dell’io.
Valerio Carrubba
PetsStep, 2007 (Paso de mascotas)
Óleo sobre acero inoxidable 51 x 48 cm.
Col. Cristina Rodeschini
Head (1), 2010 (Cabeza 1)
Head (2), 2010 (Cabeza 2)
Head (3), 2010 (Cabeza 3)
Head (4), 2010 (Cabeza 4)
Head (5), 2010 (Cabeza 5)
Impresión Lambda sobre papel Kodak Endura Metallic Pro. 30,2 x 22,5 cm., c/u.
Ebe, 2012. 40 x 30 cm.
Olsonis in Oslo, 2012 (Olson está en Oslo). 60 x 44 cm.
Kc issick, 2012 (Kc está enfermo). 53 x 44 cm.
My G-spot stopsgym, 2013 (Mi punto G deja de ejercitarse). 60 x 45,2 cm.
Óleo sobre acero inoxidable.
Col. Galleria Monica de Cardenas
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Fotografia e pittura a olio su fogli di acciaio o zinco, iconografia tipica della ritrattistica quattrocentesca: i mezzibusti di Carrubba, pur nascondendo sotto minuziosi intrecci di capelli, l’inutile identità del soggetto, rivelano il rapporto concettuale che intercorre tra l’artista, la sovrabbondante disponibilità contemporanea d’immagini e la pratica pittorica. Ogni dipinto, rielaborando un’immagine a esso preesistente, è simulazione anatomica di sé: gesti e pennellate sono ripetuti meccanicamente in due stesure differenti, seppur coincidenti. Il soggetto e il mezzo sono un’unica cosa: il corpo della pittura, il trionfo dell’indifferenza estetica, dell’annullamento dell’immagine, a tutto vantaggio della forma. A sottolineare la centralità dell’atto pittorico nella sua realizzazione essenziale, a discapito delle molteplici direzioni interpretative, sono i titoli delle opere: palindromi ovvero sequenze di caratteri che, letti a rovescio, rimangono identici. Pure esercitazioni tecniche, puri giochi linguistici.
Charles Avery
Untitled (Empiricist), 2009 (Empirista)
Lápiz y gouache sobre papel, yeso, madera. 60 x 60 x 138 cm.
Col. Giuseppe Iannaccone
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Dal 2004, si dedica alla rappresentazione di The Island, progetto unificante della sua poetica, un compendio filosofico tradotto per immagini, sculture e istallazioni, il cui nucleo si sviluppa intorno all’esistenza di un’isola immaginaria dove tutto accade nei termini di una disputa filosofica: Empiristi e Razionalisti si dibattono per mezzo di Dialettica nel tentativo di mostrare la (non)esistenza del Noumenon. Così, calchi di personaggi reali rinunciano all’identità originaria dei loro volti per incorporare ed esternare principi epistemologici; una Scuola di Atene contemporanea che attraverso simbolici copricapo variopinti, fieramente indossati da ciascun personaggio, contraddistingue un credente dall’altro: Atomisti, Solipsisti, Dualisti, Monoists, Significantes, Kleins, Metas ed Empiristi che – con il loro turbante, attributo del filosofo arabo Averroè, traduttore di Aristotele, il primo empirista ante-litteram – sono costantemente alla ricerca di risposte fornite dall’esperienza.
Sam Durant
Propaganda of the deed, 2011 (Propaganda de la escritura)
Mármol. Instalación medidas variables.
Col. Franco Soffiantino Contemporary Art Productions
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Il suo studio è da sempre attento alle mancanze socio-culturali della contemporaneità; con l’installazione marmorea Propaganda of Deed, muovendo dalla realtà storico-economica di Carrara, Durant tenta di storicizzare l’utopia del pensiero anarchico, mettendone in luce l’attualità. Accompagnati da casse e sacchi, collocati su alti piedistalli neri, si ergono i solenni busti di Gino Lucetti, Renzo Novatore, Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Francesco Saverio Merlino, Marie Louise Berneri. Essi sono volutamente non finiti, come conseguenza della riduzione dei costi di produzione delle opere voluta dall’artista. Il non finito di Durant rinvia a un'idea di società rimasta incompiuta; s’istituisce, così, un legame con la poetica del non finito d’invenzione michelangiolesca, in cui la definizione rigorosa dei corpi lascia spazio alla materia grezza che diventa scultura che inneggia al divino, al sublime dell’arte; in particolare, il nesso si crea con opere quali il San Matteo o i Prigioni, gli schiavi morenti incatenati ai pilastri della tomba papale, che paiono lottare per svincolarsi dalla materia in cui sono bloccati.